Scritti corsari by Pier Paolo Pasolini


Scritti corsari
Title : Scritti corsari
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ISBN : 8811675200
ISBN-10 : 9788811675204
Language : Italian
Format Type : Paperback
Number of Pages : 252
Publication : First published May 13, 1975

Los textos publicados durante varios años en Il Corriere della Sera y otros medios de comunicación, reunidos bajo el título de Escritos corsarios son una muestra de la pluma provocadora de Pasolini. Desde ellos –con rigor, inteligencia y sin miramientos– fustigó a toda la sociedad italiana. Fascismo, antifascismo, aborto… pero, especialmente, la sociedad de consumo, que conduce a la deshumanización de la sociedad, son algunos de los temas que desfilan por sus páginas.


Scritti corsari Reviews


  • Emilio Berra

    Libertà e omologazione
    Questo celebre libro di Pasolini contiene vari testi di saggistica, articoli di giornali, alcuni legati a temi di dibattito del periodo in cui furono pubblicati, altri bellissimi e portatori di un messaggio che li rende particolarmente attuali oggi, in un senso ben più profondo delle effimere mode che sbiadiscono e si dileguano .
    Tra questi ultimi, voglio soffermarmi sul magnifico testo che apre la raccolta, conosciuto come il 'Discorso dei capelli' .

    L'autore racconta come vide i primi ragazzi coi capelli lunghi, i 'capelloni' , in un albergo di Praga.
    Con l'acutezza del semiologo, si domanda "qual era il senso del loro messaggio silenzioso ed esclusivamente fisico".
    Con garbo ed educazione, "dicevano questo : 'La civiltà consumistica ci ha nauseati. " (...) la nostra generazione doveva essere una generazione di integrati? (...) Noi opponiamo la follia a un destino di 'executives' ' " .
    Pasolini li considerò positivamente quali portatori di autentico anticonformismo.

    Poi venne il '68 : i capelloni furono numerosi e non più silenziosi, lanciavano slogan contro il sistema ...; ci fu un verbalismo chiassoso, che poteva esprimere indistintamente mentalità diverse, sottoculture perfino politicamente contrapposte .
    Lo scrittore, quindi, cominciò a guardare con sospetto il fenomeno dei capelli lunghi.

    Siamo giunti al '72. L'autore i trovava a Isfahan, nel cuore della Persia : "Ed ecco che una sera, camminando nella strada principale, vidi, tra quei ragazzi antichi, bellissimi e pieni dell'antica dignità umana, due esseri mostruosi. (...) i loro capelli erano tagliati all'europea, lunghi di dietro, corti sulla fronte, resi stopposi dal tiraggio, appiccicati artificialmente intorno al viso con due laidi ciuffetti sopra le orecchie.
    Che cosa dicevano questi loro capelli? Dicevano: 'Noi non apparteniamo al numero di questi morti di fame, di questi poveracci sottosviluppati (...). Noi siamo impiegati di banca, studenti, figli di gente arricchita (...); ed ecco qui i nostri capelli lunghi che testimoniano la nostra modernità internazionale di privilegiati!' " . Quei capelli erano omologati alle mode della televisione e della pubblicità : erano il segno di un nuovo conformismo (magari travestito da anticonformismo, che è poi un 'conformismo al contrario ')" .
    Pasolini conclude, amaramente, che "la loro libertà di portare i capelli come vogliono non è più difendibile, perché non è più libertà" .

  • Sandra

    Si tratta di una raccolta di articoli scritti da Pasolini negli anni dal 1973 agli inizi del 1975, pubblicati in diverse testate giornalistiche italiane, e nella parte finale ci sono alcuni articoli di critica letteraria a dei libri pubblicati in quel periodo.
    Non è il valore letterario degli articoli, chiaramente, che mi ha fatto propendere per le 4 stelle, ma è il pensiero dell’intellettuale Pier Paolo Pasolini, che in questi scritti emerge con chiarezza: Pasolini era una mente lucida, razionale, illuminata, lungimirante al limite della chiaroveggenza.
    Poi nei suoi scritti ci sono anche tesi che lasciano sgomenti se si pensa alla terribile fine che toccherà a lui, quali “tutti sanno bene che non c'è disegno di carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima (e che Maria Goretti, mettiamo, è responsabile del proprio sacrificio almeno quanto il sacrificante)". Non tutto quello che scrive è condivisibile.
    Ma quando si leggono frasi come quelle che seguono, che costituiscono il cuore del pensiero di Pasolini, come non pensare che abbiamo perso un intellettuale appassionato, libero e lucido, come non esistono più.
    “Ecco l’angoscia di un uomo della mia generazione, che ha visto la guerra, i nazisti, le Ss, che ne ha subito un trauma mai totalmente vinto. Quando vedo intorno a me i giovani che stanno perdendo gli antichi valori popolari e assorbono i nuovi modelli imposti dal capitalismo, rischiando così una forma di disumanità, una forma di atroce afasia, una brutale assenza di capacità critiche, una faziosa passività, ricordo che queste erano appunto le forme tipiche delle Ss: e vedo così stendersi sulle nostre città l’ombra orrenda della croce uncinata. Una visione apocalittica, certamente, la mia…”
    Non posso smettere di chiedermi cosa avrebbe detto Pasolini della generazione degli anni 2000, se fosse vissuto.

  • miledi

    Può darsi che io non abbia capito proprio tutto-tutto. E può darsi che io non sia d'accordo proprio su tutto-tutto. Ma un uomo appassionato, intelligente e libero lo so riconoscere anche in mezzo a una folla.

  • stefano

    Pasolini? Pasolini!
    Se gli Scritti corsari rappresentano il meglio della produzione giornalistica di Pasolini e Pasolini è uno dei massimi intellettuali italiani, allora siamo messi male. Parecchio male. Eppure, a ravanare tra i commenti qua e là per il web, è difficile trovare una critica seria al Nostro. È tutto un fiorire di un profeta ancor più che un intellettuale, capolavoro, cibo per coscienze, un fucile carico, profetici e rivelatori, cambia la vita, fino ad arrivare a vette inarrivabili come Pasolini aveva capito tutto piu di 30 anni fa. Per questo è stato assassinato. Il complottista non manca mai, nemmeno nelle migliori famiglie.
    Io avevo letto gli Scritti corsari da giovincello e mi avevano annoiato parecchio, sicuramente non avevo gli strumenti culturali per capirlo. Ora, che a furia di leggere vecchi tromboni inizio a tromboneggiare anche io, probabilmente non ho ancora acquisito questi strumenti e Pasolini continua ad annoiarmi parecchio. Non conosco Pasolini poeta (faccio una fatica bestiale a leggere robe che vanno a capo senza motivo), conosco poco Pasolini regista (noioso, quel poco che ho visto), conosco un po' di più Pasolini scrittore (pesante e sempre noioso, una costante), per cui mi limito a valutare questi Scritti corsari senza fare riferimenti al resto della produzione intellettuale del Nostro. E cosa c'è, in questi Scritti corsari, di così tanto bello e profetico e nutriente per le coscienze? Niente, direi io. Però c'è tanto altro. Ad esempio chiacchiere, chiacchiere da bar, la cui somma vetta è rappresentata dal notissimo Io so. Cos'altro è, quell'articolo, se non un'intemerata senza capo né coda, furba e paracula, atta a soddisfare un pubblico che aveva voglia di sentirsi dire proprio quelle cose? Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Frase che è la madre di tutte le teorie strampalate, il principio ispiratore di ogni argomento che non necessita di spiegazioni, ma che è valido di per sé. Come le chiacchiere da bar, come gli zingari che rapiscono i bambini, come l'euro che ci ha impoveriti. Chiacchiere. E perché Pasolini non va alla ricerca di prove e indizi? Perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca […] di immaginare tutto ciò che non si sa o non si dice. Insomma, dobbiamo fidarci di quel che dice perché lo dice lui. Sarà, ma per principio mi viene voglia di dubitare, a me, non di credere alle parole di un tizio che se la canta e se la suona.
    Un altro limite di questi Scritti corsari, legato sempre al tema del Io so, è la pigrizia intellettuale. Pasolini sapeva, mica come noi, e ci teneva a sottolinearlo. Soprattutto sapeva di avere delle idee forti, precise e ben delineate (un'ideologia, avremmo detto in altre epoche): in base a queste osservava il mondo, l'Italia, la chiesa, i capelloni, l'aborto e i bigodini di mia zia. Non si preoccupava di cercare dati, numeri, conferme o smentite, no, lui sapeva. E così, parla di mutazione antropologica, la definisce a malapena, e non porta un dato uno a sostegno della tesi che espone. Andava incontro al luogo comune, apriva le braccia a chi voleva ascoltare quelle parole e in questo modo, capite bene, ogni ragionamento perde di valore. Pasolini ideologicamente afferma che marzo è pazzerello proprio a chi vuol sentirsi dire che marzo pazzerello lo è davvero. Nessuno, né il Nostro né i suoi venticinque lettori, vanno a vedere i dati sulle temperature o sulle precipitazioni, magari confrontandoli con aprile o con il marzo precedente. Perché lui sapeva, e gli adepti a ruota.
    A questo proposito, giova ricordare anche gli strali lanciati contro la televisione. La tv, per il Nostro, è uno strumento del potere (del demonio, si potrebbe dire), che ha una specie di compito, quello di rincoglionire i telespettatori. Che può anche essere, sia chiaro, ma servirebbe qualcosa per dimostrarlo. Altrimenti sono parole buttate a caso. Perché può anche essere che Mario Rossi sia diventato deficiente a furia di guardare la tv, ma è altrettanto vero che un amico di mio babbo è venuto fuori scemo a leggere troppi libri di politica. Crede persino a Giulietto Chiesa. E allora che facciamo? Accusiamo i libri di rincoglionire la gente? Un po' come accusare la musica metal per i delitti delle bestie di Satana. Caro Sommo, se mi è permesso, ogni rincoglionimento fa storia a sé, per fortuna, e generalizzare senza portare prove è, ancora una volta, chiacchiera buona da fare col prosecchino in un mano e il gomito poggiato sul bancone.
    Ma il Maestro era così: lui sapeva. Aveva deciso che la tv era brutta e cattiva e così doveva essere. Un po' come qualche altro arruffapolli in piazza nei nostri giorni, che ha deciso che il web, la rete!, sia cosa buona e giusta e guai a noi se stiamo troppo a sottilizzare. Ma torniamo a Pasolini. Assieme alla tv siede, sul banco degli imputati, la cosiddetta società dei consumi: il nuovo potere consumistico che è completamente irreligioso; totalitario; violento; falsamente tollerante, anzi, più repressivo che mai; corruttore; degradante (mai più di oggi ha avuto senso l'affermazione di Marx per cui il capitale trasforma la dignità umana in merce di scambio). Che belle parole, da farci il figo in un'assemblea di liceo per andarsi a limonare la compagna più carina e fricchettona nelle panchine del parco. Ammetto che ho sempre ambito a quella compagna e lei con me al parco non ci è mai venuta. Parlo dunque con un po' di acredine. La frase che ho citato, tuttavia, non significa niente, come niente significa il livore pasoliniano contro il consumismo. Oppure sì: caro Pier Paolo, non ti piace? Bene, pure a me fanno schifo i suv, gli aperitivi e le librerie in cui si vendono peluche. Mai mi sognerei però di dire che sono totalitari, violenti, falsamente tolleranti e altri insulti buttati giù a caso. Sei un intellettuale, Maestro, uno scrittore, uno che sa giocare, per mestiere, con le parole: stai attento a come le usi. Ma non perché puoi diventare un cattivo maestro, figuriamoci, conosco pochissimi cattivi maestri e tantissimi pessimi alunni. Bisogna stare attenti perché le parole hanno un senso e non bisogna usarle a sproposito, oppure sì, ma con cognizione di causa. Cianciare di totalitarismo fa poi sorridere a chi sia passato per la Russia staliniana o la Germania nazista. Va bene che nelle auto prese a rate dio è morto, ma io noterei qualche differenza tra i gulag e gli ipermercati. Ora capisco da chi hanno preso spunto quelli che vorrebbero che i centri commerciali chiudessero la domenica. Non ti vanno bene? Non andarci!
    E cosa propone, il Nostro, contro un nuovo potere consumistico così cattivo? Un vagheggiato mito di un immenso universo contadino e operaio prima dello Sviluppo, che probabilmente è esistito solamente nella sua testa. E sapete chi è l'eroe di questo universo? Il fornarino! Voi non ci crederete, ma il fornarino, o cascherino – come lo chiamano qui a Roma – era sempre, eternamente allegro: un'allegria vera, che gli sprizzava dagli occhi. Se ne andava in giro per le strade fischiettando e lanciando motti. La sua vitalità era irresistibile. Era vestito molto più poveramente di adesso: i calzoni erano rattoppati, addirittura spesse volte la camicetta uno straccio. Però tutto ciò che faceva parte di un modello che nella sua borgata aveva un valore, un senso. Ed egli ne era fiero. E cosa mi combina 'sto potere neocapitalista consumista fascista totalitario che mi rincoglionisce con la tv? Mi fa sparire il sorriso dal fornarino, che ora è triste che non si può comprare il giubbotto, il tostapane e il frigorifero e non si gode più i valori semplici, poveri ma belli, della sua borgata. Io non ce la posso fare, sono limitato, ma davanti al fornarino chino la testa e abbandono la sfida.
    Taccio, dunque, dell'uso spregiudicato e senza senso della parola fascismo. Un uso simile a quello che vent'anni dopo avrebbe fatto un imprenditore e politico lombardo con il termine comunismo.
    Taccio, ancora, delle sciocchezze cianciate sull'aborto: sono però traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio.
    Taccio, inoltre, degli sproloqui moralistici sulla libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un'ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore. Taccio, perché altrimenti gli chiederei: ma a te che ti frega se la mia libertà sessuale è un obbligo o un dovere sociale? Sono, comunque, affari miei.
    E taccio, infine, sull'improponibilissima sciocchezza detta a proposito di uno stupro: ”tutti sanno bene che non c'è disegno di carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima” (e che Maria Goretti, mettiamo, è responsabile del proprio sacrificio almeno quanto il sacrificante). Taccio, perché altrimenti direi che l'unica profezia che il Nostro ha fatto sia proprio questa. Autoprofezia.
    E insomma, taccio, non prima di aver elargito un mio modesto consiglio: per capire l'Italia di quegli anni leggete sì Pasolini, ma soprattutto guardate I mostri e Fantozzi. So bene che fa meno figo, ma è più utile.
    In conclusione, vorrei premiare chi è arrivato fin qua offrendogli in omaggio un pupazzo di Ninetto Davoli a grandezza naturale e segnando quali siano, a mio trombonesco avviso, i due maggiori errori di Pasolini. Il primo: vedere tutto con le spesse lenti della sua ideologia. Pensava una cosa, il Nostro, e andava a cercare pezzetti di realtà per dimostrarla. O, ancora peggio, se la realtà difettava se la inventava. Il secondo, ma è difetto comune a molti esseri umani: pensava di vivere in un'epoca straordinaria. In tanti pensano che gli anni in cui vivono siano i migliori per l'essere umano, altri invece vedono solo un periodo di cupa decadenza. Gli uni e gli altri, comunque, sono accomunati dalla sensazione di vivere anni eccezionali. È un'illusione: i nostri anni non sono troppo diversi da quelli che ci hanno preceduti, né da quelli che verranno. Per concludere davvero, una massima a dimostrazione che il Nostro difficilmente si sbagliava: Nel 1971-72 è cominciato uno dei periodi di reazione più violenti e forse più definitivi della storia.
    Forse.

  • Saverio Mariani

    Una raccolta di scritti della prima metà degli anni '70, che ci dà la possibilità - ancor oggi - di leggere alcune categorie chiave della realtà. In primo luogo la grande ideologia del consumismo e dell'ideale di sviluppo (contrapposta a quella di progresso), ed in secondo luogo la straordinaria forza persuasiva dei mezzi di comunicazione di massa, che Pasolini analizza e critica con una lucidità fuori dal comune.

  • marco renzi

    [Corsera e altre testate - nel muro]

    Allora: la prima riflessione è questa: una volta, tipo negli anni Settanta, potevi prenderti il lusso di andare in edicola, comprare, ad esempio, il Corriere Della Sera, e trovarci articoli firmati da Pier Paolo Pasolini.

    Non mi piacciono troppo le tiritere su quanto fosse bella l'Italia di un tempo, l'Italia del valzer e l'Italia del caffè, poiché inevitabilmente quell'Italia ci ha trasformati nel Paese ancor più alla deriva che oggi rappresentiamo, dunque c'è ben poco da fare i nostalgici.

    Diciamo solo che erano i tempi ad essere diversi; o meglio: erano gli uomini, o alcuni di questi, ad esserlo. E insomma, sui giornali uscivano grandi cose, come gli elzeviri di Berto sul Resto del Carlino, tanto per citarne uno che verrebbe in mente a me e ad altre due dozzine (oddio, anche troppe) di persone in Italia; oppure, gli articoli di Pasolini sul quotidiano di via Solferino, dove oggi D'Orrico ha il coraggio di scrivere che Luciano Ligabue (proprio lui) è il Raymond Carver (proprio Lui) italiano.

    Io, che preferisco essere l'Anna Magnani svizzera, come rispose a un giornalista un grande (ex) comico pratese all'affermazione "lei è il Woody Allen italiano", mi limito dunque a constatare questo semplice fatto: in un tempo non troppo lontano, ma che ormai sembra corrispondere a un'era geologica, questi Scritti di PPP si potevano leggere su (quelli che un tempo erano) prestigiosi fogli nazionali, mentre ora Andrea Scanzi parla di MoVimento 5 Stelle, di musica, di tennis, di vino, inframezzando il tutto con l'onnipresenza televisiva e la scrittura (!) di romanzi (?!%&ç@), senza riuscire, in tutto ciò, a sbrogliare la matassa cum magna diligentia.

    Insomma: chi legge si faccia i suoi conti, tiri le sue conclusioni e soprattutto faccia le sue riflessioni. Ché qui, le riflessioni fioccano e continueranno a fioccare, poiché gli Scritti Corsari sono un'apologia della libertà di stampa e di pensiero, un grimaldello capace d'aprire ogni mente offuscata dal fascismo della contemporaneità, de-evoluta nella propria inconsapevole ignoranza travestita da sapere, un sapere fatto di pochi click e di poche parole senza autore, specchio di un popolo bue poco incline al ragionamento e al pensiero di testa; ma soprattutto poco propenso a pensare con la propria, di testa; e impossibilitato a intraprendere la propria strada - politica, artistica, filosofica, il cazzo che vi pare - senza la guida di un burattinaio, di un ducetto urlante che sbraita tutto il contrario di tutto, ché tanto l'importante è urlare ed essere "contro", senza sapere con esattezza cosa significhi essere davvero contro, davvero liberi.

    Libero lo era senza dubbio Pasolini. E non è vero che a suo tempo non imperassero i ducetti di cui sopra: di certo erano capi migliori, nei quali si poteva quanto meno fare affidamento per certe cose; ma è anche vero che molte persone vi si accodavano per ignoranza consapevole, senza dimostrare, salvo eccezioni, la tracotanza e la violenza attuali, quella di capre vestite da sapienti, pronte a dar voce alla prima falsa verità trovata in Rete, pronte a far fuoco sul primo capro (che non è il maschio della capra) espiatorio girardianamente disponibile, nel nostro caso immigrati e disgraziati assortiti.
    Dunque: se qualcuno faceva scrivere Pasolini, vuol dire che aveva i suoi lettori, la sua autorevolezza. E mi vien da dire che qualche cervello l'avrà di sicuro aperto, anche se ad oggi tante parole, frasi e periodi sembrano esser stati scritti in vano; ma non è certo colpa di PPP, né di quei pochi che lo leggevano e che magari lo capivano.

    La questione, poi, è la seguente: siamo d'accordo sul fatto che oggi non esista un Pasolini; e se esiste ha più o meno l'età che avrebbe oggi il poeta friulano se non fosse stato ucciso a bastonate quarantuno anni fa.
    Ma facciamo finta per un attimo che ci sia: chi lo farebbe scrivere? chi lo leggerebbe? chi gli darebbe ascolto?
    Già all'epoca la sua voce era scomoda e faceva storcere il naso e girare i coglioni a destra e a sinistra; ecco: oggi avrebbe modo di far incazzare qualcuno? E ci sarebbe qualcuno pronto a cogliere e carpire certi Scritti?

    Non lo so, non riesco a dare risposta.
    Il dubbio permane, come - per fortuna - rimangono gli Scritti Corsari, uguali a come PPP li aveva concepiti; uguali a se stessi e al loro tempo, perché tanto ogni tempo si somiglia. L'importante è sempre leggere (le cose giuste) e capire.

    Leggere e capire, leggere e capire, leggere e capire, ecc.
    E a culo tutto il resto.

  • Francesco

    Pasolini è come dovrebbe essere un intellettuale: sempre scomodo, sempre spiazzante, sempre dove non ti aspetteresti di trovarlo. Il suo punto di vista è spesso fuori dal comune, tanto che le categorie che usa per descrivere la realtà possono a volte suonare un po' estreme. A chi verrebbe in mente di chiamare «fascismo» la nostra società dei consumi? Eppure... Eppure...

    «Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccato nell'intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all'epoca mussoliniana, di una irregimentazione superficiale, scenografica, ma di una irregimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l'anima. Il che significa, in definitiva, che questa civiltà dei costumi è una civiltà dittatoriale. Insomma, se la parola fascismo significa la prepotenza del potere, la società dei consumi ha bene realizzato il fascismo.»

  • Massimiliano

    In "La Ricotta", Orson Wells recita "io sono una forza del passato / solo nella tradizione è il mio amore". L'energia primordiale di quelle parole è la stessa che anima il conflitto alla base degli "Scritti Corsari", ne colora i passaggi più evocativi, e funge da impalcatura al dramma fondamentale del progresso come dittatura omologatrice così come vissuto da PPP.

    Nonostante una certa ripetitività dei temi - fine del mondo contadino, invettiva contro la borghesizzazione, cambiamento della religiosità, omosessualità, e via dicendo - e lo sforzo filologico richiesto al lettore, "Scritti Corsari" è estremamente interessante, pedagogico, ed attuale.

  • Je

    Questo libro mi ha turbata. C'è un'opera al castello di Rivoli, è una scritta sul muro, dice : Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo" l'ha detta Pasolini poco prima di essere ucciso. Questo libro è un po' così, una sorta di grido di Cassandra, se magari negli anni '70 poteva sembrare esagerato ormai invece ci appare in tutto il suo orrore.

  • Alice

    this is the worst book to ever exist
    if no stars were a rating, 'Gli scritti corsari' would get just that from me
    why even make a book out of a random collection of out-of-context articles?

  • Diabolika

    Che enorme delusione!!!

    L’ho letto cercando di calarmi nell’Italia di allora ma, nonostante il linguaggio datato, sono rimasta basita dai contenuti. Prima di tutto l’uso indiscriminato del termine “fascista” che PPP appiccica a qualsiasi situazione di potere. Penso ci sia una differenza tra autoritarismo e fascismo. Quello che ho trovato più deludente è la divisione manichea tra un modo contadino (o pre-industriale) e di borgata, portatore di valori tutti positivi, e la società post-industrializzata (o consumista) con valori solo negativi. Insostenibile anche la sua posizione sull’aborto.

    Unica nota positiva: la sua verve polemica, indiscriminata e sprezzante del potere. La sua capacità di dire sempre la verità (ovviamente la sua verità) senza fare concessioni a nessuno (né a quelli della sua parte politica né agli avversari). Un dote che rimpiango, in questo triste periodo di yes-men e yes-women. Così come rimpiango il livello della stampa di allora, se si pensa che questi scritti venivano pubblicati su Il Corriere della Sera. Forse, l’Italia che fu non era poi così male... ;-)

  • GONZA

    Come avete potuto vedere in giro, tra un po' saranno passati 30 anni dalla morte di Pasolini, artista probabilmente nel senso più vero del termine e poeta, ma quello sopra, non è un romanzo o una raccolta di poesie, ma la raccolta degli articoli che scrisse sul Corriere della sera dal 1973 al 1975.
    Non è un libro facile, uno da metropolitana per capirsi, perchè c'è bisogno di capire i retroscena di quei tempi, per esempio io c'ero ma non me li ricordo e soprattutto al liceo siamo arrivati nemmeno alla prima guerrra mondiale. Anche senza contestualizzare esattamente però, l'attualità delle sue affermazioni sul potere, sui giovani, sui giochi della politica e sui costumi, restano comunque attualissime, a volte spaventano, ma forse è vero che se non capiamo gli errori del passato siamo condannati a riviverlo. Grazie a mio cuggino mio cuggino, che me lo ha prestato, pensavate mica che erano tutti miei.....

  • Vito

    Quello che dicono un po' tutti e un po' ovunque è assolutamente vero: non solo questi saggi scritti più di trent'anni fa sono ancora attualissimi, ma aiutano moltissimo a capire come siamo giunti dove siamo giunti. Pasolini aveva già visto e descritto le avvisaglie di tante cose: lo strapotere culturale della TV che ha formato gli italiani, la trasformazione degli individui in consumatori seriali, lo sviluppo che non ha coinciso con il progresso, per dirne alcune.

  • Federico

    Non sono d’accordo con tutto e non ho capito proprio tutto MA sono rimasto un po’ deluso dallo stile retorico di PPP che per me molto spesso gira intorno alle questioni e non argomenta. Poi su certi temi … Bo invecchiato malino

  • Emanuele Dattoli

    La visione dell'Italia che cambia negli anni dell'urbanizzazione e del boom, la più profonda e contraddittoria che possa capitare di leggere.

  • Marc Hernández

    On ets ara, Pasolini?

  • Giada Di Pino

    ATTI DI PIRATERIA LETTERARIA
    "Scritti Corsari" di Pier Paolo Pasolini

    Corsari. Cioè fuorilegge. Battaglieri. Scritti che colpiscono, rapidi, dritti al cuore. Al cuore della società, della politica, dell’attualità italiana. Sotto questo titolo simbolico e metaforico, Pasolini raccolse poco prima della sua inspiegabile morte gli articoli che scrisse tra gennaio del 1973 e febbraio del 1975 e che pubblicò parte sul “Corriere della Sera”, di argomento sociale e politico, e parte sul “Tempo”, di argomento perlopiù letterario. Sono molte le questioni e le tematiche che affronta, ma uguale resta il piglio polemico e provocatorio, e con una assoluta, ‹‹disarmata (e disarmante) mancanza di umori ironici e satirici›› (cit. A. Berardinelli, “Pasolini, stile e verità” in Il libro e la vita. Situazioni della letteratura italiana contemporanea): forme e caratteri della borghesia italiana, la laicizzazione pressante della società, il ritiro “a vita privata” della Chiesa, la morte imminente dei dialetti e la dilagante povertà linguistica, la differenza tra sviluppo e progresso, il “nuovo” fascismo e il suo riapparire sulle scene italiane, il referendum del 1974, con
    conseguente legalizzazione del divorzio e il dibattito nascente sulla legittimazione dell’aborto. Questione, quest’ultima, che Pasolini, con incredibile precocità e lungimiranza, ritiene non tanto essere un problema di libertà della donna o una tragedia femminile, ma una conseguenza della sempre maggiore, che direi ormai cronica nei giorni nostri, perdita di sacralità della vita. In una società imbevuta di capitalismo, anzi di
    neocapitalismo, fondata su di esso e che di esso si nutre, l’unica sacralità possibile è quella del consumo. Quello che rischiavamo di diventare quando Pasolini scriveva, oggi lo abbiamo realizzato appieno: una società affetta da edonismo patologico, da individualismo morboso e dissacrante. Ed ecco il bersaglio polemico principale delle “incursioni corsare” di Pasolini: la società dei consumi, il neocapitalismo di stampo industriale, che sta distruggendo (o che ha già distrutto) il mondo proletario e contadino, portando all’omologazione di massa della cultura borghese, che è una cultura senza valori. Profetico, Pasolini, in questi Scritti Corsari. E scandaloso. Scandaloso ancora più che nei suoi romanzi, che hanno scatenato le
    polemiche di tanti intellettuali e politici del dopoguerra, o nelle sue poesie, o nella sua dichiarata omosessualità. Lettura non leggera, questa raccolta di articoli, ma da cui non si può assolutamente prescindere se si tende ad uno sguardo disincantato e consapevole della nostra realtà.

    Giada Di Pino

  • M.

    Pasolini dibuja en este libro un bosquejo de la sociedad italiana en los albores del imperialismo contemporáneo (70’s). En todo el libro el hilo conductor es la rendición de Italia como país occidental «modelo» a la sociedad de consumo: el consumismo, el placer inmediato a través de la adquisición de absurdos productos inventados para necesidades que antes no existían, la hipersexualización, la imposición de la homogeneización y la aparente igualdad interclasista que caracterizaron (y caracterizan) a los Estados imperialistas occidentales. Especialmente interesante es el análisis que hace Pasolini del fascismo post-mussoliniano (un fascismo adaptado a la sociedad de consumo) y el encaje de la religión en esta nueva sociedad; a veces como una especie de melancólico recuerdo del pasado, a veces como auténtico impedimento histórico al desarrollo de las sociedades capitalistas más modernas. No puedo pasar por alto su análisis sobre el aborto, netamente reaccionario y basado en prejuicios católicos fruto del contexto social y cultural de la época.

    Con un enfoque claramente antifascista (aunque Pasolini se defina como «marxista» en muchas ocasiones sus posturas están marcadamente alejadas del marxismo ortodoxo) este compendio de artículos es muy recomendable para entender el aspecto político y cultural de la entrada del imperialismo contemporáneo en la sociedad italiana.

  • Gerardo

    Un testo molto interessante per capire gli anni Settanta italiani. Il punto di vista di Pasolini è personale, ma portato avanti con estreme coerenza. Lo si apprezza, anche quando ci si trova in disaccordo con lui.

    Pasolini individua negli anni Settanta una mutazione antropologica che sta cambiando il volto degli italiani. Osserva un passaggio da una cultura contadina a una consumistica.

    Pasolini prova nostalgia per un mondo contadino fortemente legato al concetto di sacro, ma di una sacralità ctonia, dionisiaca, di sentimenti vissuti con grande passione. Un mondo rituale, senza nevrosi, che faceva a meno di orpelli e cose inutili. Al contrario, gli anni Settanta, attraverso la televisione, introducono il mondo dei consumi: una dittatura subdola, dove gli individui sono costretti a consumare non da imposizione poliziesche, ma perché subiscono costantemente il bombardamento mediatico delle pubblicità.

    Di fatto, Pasolini parla di tre dittature: quella fascista, imposta dall'esterno, ma vissuta intimamente solo da alcuni. Quella democristiana, in cui la democrazia è solo illusoria, poiché si impone una morale di stampo petresco. Infine, quella dei consumi, la più subdola, che condiziona le pratiche quotidiane degli individui.

    Tutto ciò spiega la contrarietà di Pasolini verso l'aborto: egli lo identifica in un mezzo per rendere l'amore un mero atto di consumo. Tuttavia, Pasolini non sembra essere contrario all'aborto in quanto diritto, ma all'aspetto trionfalistico della propaganda pro-aborto: in sostanza, Pasolini è contrario a una visione della sessualità completamente deresponsabilizzata nei confronti della vita.

    Interessante la riflessione su sviluppo e progresso: con "sviluppo" si intende l'avanzamento tecnico-economico, mentre con "progresso" quello sociale. Il mondo dei consumi sembra preoccuparsi solo del primo: la tecnologia, quindi, diventa l'ennesimo strumento di sfruttamento, se non accompagnata dalle lotte civili. Pertanto, invita la sinistra a occuparsi del progresso (tuttavia, Pasolini non è un luddista: è consapevole che il progresso può avverarsi solo se c'è anche un avanzamento di tipo materiale. E' lo sviluppo senza progresso a preoccuparlo).

    Un altro elemento di interessa è la riflessione sui giovani: Pasolini parla di un'omologazione dei costumi che porta i giovani a essere tutti uguali, non importa a quale classe appartengono. Non ci sono più differenze sul piano dei segni corporei tra borghesi e proletari, tra fascisti e comunisti: tutti i giovani partecipano alla stessa rivoluzione dei consumi.

  • Elisa

    Pasolini parla provocatoriamente di una continuità tra la dittatura fascista e il governo democristiano del dopoguerra, che lui stesso definisce un regime poliziesco parlamentare, sorretto dai voti di un popolo di campagna asservito ai preti. È proprio grazie a queste masse cattoliche che la DC, nel suo trentennio, ha potuto sempre sfoggiare una larga maggioranza, che le ha permesso una parvenza di democrazia, che disonestamente la DC usava come prova di dissociazione dal fascismo.
    Quelli in cui milita Pasolini sono gli anni delle grandi trasformazioni sociali, gli anni in cui l'edonismo è diventato la nuova religione, gli anni del consumismo, della distruzione del singolo, per sua natura contraddittorio e inconciliabile con le esigenze del consumo; sono gli anni dell'uomo-massa. Se nell'URSS l'uniformità era data da una lotta che partì dal basso per eliminare le differenze di classe, in Italia l'uniformità è imposta dal potere, sia dal potere politico che dal più forte potere del consumo. Nell'ansiosa volontà di uniformarsi ognuno perde la propria unicità, ieri come oggi. Pasolini fa in tempo anche ad accorgersi di quanto anche la tv, seppure ancora molto giovane, sia già prepotentemente entrata nella vita delle famiglie: il tipo di uomo o di donna che conta, scrive, che è moderno, che è da imitare e da realizzare, non è descritto o decantato: è rappresentato!
    Il popolo insomma non è più quello di un tempo, sta perdendo la sua fede, tutto a un tratto smette di essere bigotto. La chiesa tace il cambiamento e continua a camminare come ha sempre fatto, d'altra parte, scrive ancora Pasolini, da molto tempo i cattolici hanno dimenticato di essere cristiani. Solo nel 1974 Paolo VI decide di togliere la maschera e di dichiarare che ormai la chiesa è stata superata dal mondo e si trova in disparte, con un ruolo del tutto superfluo e irrilevante. Solo nell'attimo di quel discorso il papa di quegli anni trova il coraggio per essere sincero, un minuto dopo sta recitando di nuovo.
    Pasolini è un uomo solo, come è solo ogni uomo che non si uniforma, come è solo ogni uomo che pensa. Chi pensa è reo, scrive in uno dei suoi articoli, definendosi anche il resto di un rogo in cui avrebbero voluto bruciare le sue idee. Ma le idee non bruciano. Le idee restano, rimangono impresse nella carta stampata, superano anche la morte, danno nuova vita a chi avrà voglia di conoscerle e di pensarci un po' su.
    Gli anni 70, quelli che i libri chiamano anni di piombo, sono gli anni del terrorismo, gli anni dello shock petrolifero, gli anni di quel totalitarismo più subdolo di tutti i precendenti, il consumismo. Sono gli anni di una crisi del potere, Pasolini scrive che se i democristiani al governo togliessero la loro maschera rimarrebbe solo il nulla, sotto la maschera non ci sono volti, non ci sono ossa, non ci sono personalità o cervelli. C'è solo il nulla. Al potere c'è il vuoto. Non è forse quello che molto spesso ci troviamo a pensare anche oggi? Non ci sentiamo presi in giro da chi, col nostro voto, guadagna migliaia e migliaia di euro e ha la faccia di dire che per la crisi sta facendo sacrifici anche lui? I politici sono inesistenti. Qualcuno grida, qualcuno ride, qualcuno inventa slogan da far rimanere in mente come il ritornello del tormentone estivo, qualcuno si rimbocca le maniche, o almeno così dice di fare.
    Pasolini è stato un grande uomo, un grande critico, un grande scrittore. Almeno per me. Uno vero in un mondo di maschere indossate sopra al niente.

  • Silva

    This book presents a selection of texts from two books by Pier Paolo Pasolini: “Scritti corsari” and “Lettere luterane”. Mostly, the texts were originally published in Italian newspapers, between 1973 and 1975.

    A controversial character and thinker, Pasolini addresses the reality of Italian society at the time of writing. Reading it 40 years later, some of the themes may not resound with the same interest that they had then, or, indeed, some of the arguments can appear somehow limited in face of the theoretical developments in the recent decades.

    It is enriching to assess Pasolini’s dialectical thinking and analysis, and stimulating to follow his line of argument even when one does have a position over a given topic different from his. Likewise, I appreciate the capacity of not compromising his intellectual rigour in spite of the wider and less specialised audience that a largely distributed newspaper implies. His line of thought remains incisive, vigorously involving himself in polemics with other Italian intellectuals such as Alberto Moravia and Italo Calvino, and often being derisive regarding political figures. Irony and sarcasm are a trait of his intelligence and strongly reflected on his writing.

    Should we speak of tolerance or is it not that the very notion of tolerance actually implies condemning the other to a mental ghetto? Is it not that conformity to power keeps growing as life becomes more and more rooted in consumerism? Some of the civilization issues he approaches and apprehensions with politics that he expresses remain remarkably up-to-date. Or should one say regrettably up-to-date, when we consider the last decades of Italian politics and the everlasting dilemmas of the left wing? Or, indeed, do not all the implications of the recent economical crisis within the European Union cry for “the strength of total criticism, of rejection, of denouncing desperately”?

    I keep going back to Pasolini’s writing and movies. His oeuvre is inspiring, and invaluable to reassess my beliefs and interests in art as in life.

  • Nicolas

    Davantage pirate que corsaire, ce livre offre la somme des vociférations pasoliniennes parues dans la presse italienne quelques années avant la mort de l’auteur. Bras armé et raisonné de son œuvre poétique, ces écrits à contre-courant s’insurgent contre la Consommation, matrice d’acculturation visant à embourgeoiser un monde en toc –Consommation qui constitue également un nouveau fascisme; hédoniste, permissif et tolérant.



    Pasolini vit le consumérisme comme un cataclysme anthropologique, un crépuscule culturel pour de larges strates restées jusqu’ici en dehors de l’histoire. « Là est la véritable dégradation : que les gosses du peuple sont tristes parce qu’ils ont pris conscience de leur infériorité sociale, étant donné que leurs valeurs et leurs modèles culturels ont été détruits (P. 97). » Un marxisme antithétique, antiprogressiste: amour des classes ouvrières et paysannes, terreau historique du marxisme égalitaire et haine du développement, de cette « nouvelle culture interclassiste » générée par la consommation. Paradoxe.



    Sur l’Église, Pasolini constate sa destruction, la Consommation s’étant substituée à la religion. L'auteur engagé forge dès lors un plan de contre-attaque. L’Église doit se nier elle-même ; retour aux origines, à l’opposition, à la révolte, aux catacombes. Une sainte-alliance anti-consumériste, presque romantique. L'Église de Pasolini est paysanne, voire anarcho-païenne : « le temps des dieux agricoles semblables au Christ était un temps « sacré » ou « liturgique » dont comptait le caractère cyclique, l’éternel retour (P. 128) ». Pasolini ne regrette donc pas « l’age d’or » précatholique mais bien « l’age du pain » ; où paysans et sous-prolétaires témoignaient d'une marginalité sainte.



    Au fil des différents textes, les multiples redondances ne servent qu’à mieux marteler le constat accablant d’un cheminement entropique inéluctable.

  • Alessandro

    Con "scritti corsari" Pasolini ci dà la propria visione dei fenomeni sociali, politici e culturali nell'Italia di fine anni 60-inizio anni 70. Ne consiglio la lettura perchè è questo un periodo storico difficile da valutare, generalmente non lo si affronta a scuola ed è troppo lontano per ritrovarlo nei ricordi dei nostri conoscenti, ma come ogni periodo storico è un tassello fondamentale per capire il presente.
    Il libro è composto da articoli pubblicati in vari quotidiani dell'epoca. Gli articoli son a dir poco scomodi, Pasolini attacca la politica in particolar modo i democristiani ma non risparmia la sinistra italiana, analizza la cultura di massa di cui spesso i giovani ed i movimenti studenteschi si fanno inconsciamente veicolo con la conseguente "fioritura" della società dei consumi (di carattere edonistico) e non risparmia nemmeno qualche attacco alla "buona" televisione. Tutti, secondo lui, colpevoli di un mutamento della socità italiana verso l'annullamento delle singolarità territoriali (regionali-provinciali), e della loro cultura, con il conseguente dilagare del modello piccolo borghese, di ottimi consumatori uguali da nord a sud. Quindi non si limita ad analizzare il suo presente ed a cercarne le origini nel passato, Pasolini fa di più e delinia la sua idea di futuro o meglio dove lui pensava che la società stesse andando o anzi dove pensava i poteri economici e politici la stessero indirizzando. Alcuni articoli trattano anche i temi dell'aborto e l'omosessualità. Chi cerca materiale sulle stragi o il caso Mattei rimarrà deluso, oltre al famoso articolo "io so" non si trova molto.
    Che lo si condivida o no il punto di vista offerto da Pasolini non può venire trascurato in quanto pensiero di un intellettuale che è riuscito a rimanere lucido e onesto, con se stesso e con i lettori, in un periodo violento in cui lo sgomento e la paura facevano da padroni.

  • Damiana

    3.5/5

  • Pier

    Libro profetico che, pur essendo stato scritto più di quarant'anni fa durante i difficili anni di piombo italiani in un clima decisamente più teso a livello socio-politico, mette in luce numerosi aspetti negativi dell'odierna società italiana. Pasolini, lo scrittore "corsaro", ferocemente e dolorosamente ripiegato in un pessimismo assoluto nei confronti di una realtà violentemente degradata, critica in maniera caustica e senza mezzi termini i vizi e i mali di una nuova e sconcertante tirannia apolitica diversa da quelle passate in quanto annichilisce e omologa il pensiero e la personalità del singolo a quella della massa: la società consumistica e mediatica. Scritto in maniera chiara e lineare, senza termini troppo ricercati o troppo colloquiali, il libro, che si presenta come una raccolta di interventi e articoli giornalistici scritti in un arco temporale di due anni, è stato per me un'importante risorsa non solo letterario-culturale ma soprattutto un'importante fonte per la mia tesina di maturità su " il consumismo e la perdita delle virtù individuali". Consiglio quindi il libro a tutti coloro che sono attratti dall'ambito politico e sociale in quanto porta a riflettere su quali siano i rischi in cui possiamo incorrere ogni giorno dal momento che siamo immersi completamente in una società che non lascia spazio al pensiero del singolo ma solo a quello della massa.

    Stile:8+
    Contenuto: 9,5
    Globale: 9-

  • Sara

    Pier Paolo... ci manchi UN CASINO


    DA SCRITTI CORSARI (pag 75)

    ---------------------------------
    [...]

    Io so perchè sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
    Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere.
    [...]
    Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
    A chi dunque compete fare questi nomi?
    [...]
    Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove e indizi.
    [...]
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    E qui mi è venuto giù un fiume di lacrime

  • Antonio

    Mi ha sorpreso come Pasolini abbia previsto come la forza della televisione avrebbe stravolto l'Italia. Però mi lasciano anche un po' perplesso due questioni che mi sembrano tipici vizi nazionali che non mi aspettavo di ritrovare in lui: 1) l'Italia è un caso a parte, sembra che per noi italiani ciò che vale per tutti i paesi, non possa valere per noi. 2) si stava meglio quando si stava peggio. Questo vizio di guardare sempre indietro, che mi sembra tipico di noi italiani. Non guardiamo al futuro ma sempre al passato. Rivalutando perfino il fascismo, rispetto alla sua contemporaneità, Pasolini mi ha deluso. Non penso che, se il consumismo può essere criticato, per questo possa essere in qualche modo rimpianto il fascismo o la miseria e l'analfabetismo, eppure sembra che tra consumismo e fascismo lui scelga il secondo, tra televisione e analfabetismo, meglio l'analfabetismo. Ecco perchè solo 3 stelle.